
Mi ha sempre affascinato la figura della donna. Si dice che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna, e credo che questa sia una verità alla quale il sesso forte non possa esimersi dal riconoscerlo. Nella storia è spesso la donna a scandire il tempo, perché è nella sua figura che l’immaginario collettivo impersona le legende più belle che vanno dalle fondazioni di città a quelle di spirito tutelare della casa.
La donna nella vita familiare, dimostra tutta la sua funzione oltre alla sua insostituibilità, la sua presenza può essere considerata sublime tanto che anticamente, si credeva che in essa vi fosse qualcosa di divino.
Alcune donne, nei popoli germanici, erano consultate perché ritenute fonti di saggezza e di sapere, però è nel Mediterraneo, che si narrano le storie più belle e affascinanti sulla loro figura: la Sibilla Cumana con la sua attività di oracolo ha predetto il destino di antichi uomini e guidato Enea nell’oltretomba, la sirena Partenope che innamoratasi di un greco (Ulisse?) si lasciò morire nella spiaggia sulla quale sarà fondata la città di Napoli e così si potrebbe continuare all’infinito.
Torniamo alla figura non divinizzata della donna. Nelle terre del sud dell’Italia come in molti paesi mediterranei, la donna era ed è considerata il fulcro centrale; sin da bambine sapevano sbrigare compiti che costituivano l’asse portante delle attività del nucleo famigliare come: impastare la farina per il pane, saper fare i letti, trasportare la legna e attingere l’acqua dal pozzo. Crescendo la sua adolescenza era spesso difficile. Il mutamento fisico e mentale avveniva spesso in ambienti familiarmente duri e culturalmente molto bassi, nei quali, le possibilità di riuscire a scambiare le sensazioni per i cambiamenti legati agli aspetti fisici erano praticamente nulle.
Anche se poco curata, la bellezza nelle donne mediterranee era spesso naturale mai artificiale, non avevano quasi mai bisogno di ricorrere a espedienti estetici per sedurre.
In Sicilia le donne portavano sempre le calze alte e vesti lunghe che le coprivano sino al collo, le maniche ricoprivano tutto il braccio ed eccezionalmente fino al gomito solo nei mesi in cui il caldo era insopportabile.
“Ciò che della donna non si vede rattrista il cuore” recitava un antico adagio, e suscitava scandalo una donna che mostrava qualche centimetro in più di pelle.
La “carne” attirava gli sguardi degli uomini e certe esposizioni – che oggi sono del tutto normali – al tempo, erano ritenute di dubbia moralità e comportavano il rischio di maligne dicerie sulla reputazione della povera malcapitata.
In alcune comunità pugliesi la donna che si ammirava spesso nello specchio era accusata per di frivolezza e poca serietà, perché lo specchio veniva considerato come uno strumento di seduzione.
Spesso però la cura e la bellezza per il proprio corpo prendeva il sopravvento e allora alcune donne – quelle più coraggiose – facevano ricorso alle antiche ricette tramandate da generazioni che prevedevano l’uso di cosmetici naturali; per eliminare il cattivo odore del sudore si usavano estratti di muschio, mentre per profumare i capelli, ricorrevano agli estratti del cardamono e per dargli maggiore lucentezza si applicavano impacchi d’olio d’oliva.
I lunghi capelli sciolti potevano significare avvenenza ma nei tempi antichi, il portare i capelli sciolti era segno di lutto, significava grande malinconia e profonda tristezza dello stato d’animo.
La capigliatura sovente poteva essere vista come “massa tentatrice”, conseguentemente i capelli erano raccolti in una o due trecce, raggruppate dietro la nuca e fermate da ferretti (tale acconciatura prendeva il nome di o’ tupp in Campania, Molise, Basilicata e Puglia settentrionale, lu tuppu in Calabria, Sicilia e Puglia meridionale).
La donna inoltre, per molti secoli è stata vittima di complessi pregiudizi legati alla sua fase mestruale, in tale periodo veniva considerata impura.
L’origine di tale credenza può essere attribuita al periodo della civiltà romana, nella “Storia naturale” di Plinio (Como, 23 – Stabia, 25 agosto 79) è scritto: “il contatto con una donna mestruata trasforma il vino in aceto, uccide le sementi, devasta i giardini, rende opachi gli specchi, fa arrugginire il ferro e il rame, fa morire le api, abortire le cavalle, e così via“.
In alcune comunità, la donna che attraversava tale fase veniva isolata perché considerata “infettata” da quel misterioso flusso al quale gli uomini guardavano spesso con paura.
Tale credenza è ancora presente in alcuni paesi del Magreb.
Alcune di queste superstizioni erano presenti anche nella parte meridionale della Puglia dove alle donne che erano nel ciclo mestruale, era vietato attingere acqua dal pozzo, impastare la farina, confezionare alimenti sott’olio, salare la carne o il formaggio e toccare le piante.
In questo breve excursus, sulla condizione della donna nel mediterraneo, non esce un quadro molto confortante…però se si pensa alla splendida immagine che ha dato la magnifica Ipazia (Alessandria d’Egitto 355/370-415) passata alla storia come la versione femminile di Galileo che fu uccisa da un gruppo di fanatici cristiani, ci si spiega perché l’uomo ancora oggi è ammaliato dalla figura femminile, senza la quale non sarebbe possibile immaginarne la sua esistenza.
Per Amore, per Diletto e per Bellezza: la Donna nell’immaginario mediterraneo
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