
Quante agricolture abbiamo? L’agricoltura sostenibile, integrata, naturale e sociale, organica, biologica e biodinamica, sinergica e rigenerativa; poi abbiamo l’agricoltura urbana, spirituale, verticale e vegana, quella itinerante e quella quantistica.
Quando si tratta di agricolture alternative, spunta sempre un nuovo “ribelle” che idealizza o scopre un rivoluzionario metodo per produrre, lo adotta, lo fa talmente suo che diventa un credo da diffondere, una comunità, una moda o un esempio di lotta alle multinazionali che decidono sulla sovranità alimentare, agli eccessi di burocrazia, ai marchi o alla schiavitù tra i campi.
Allora se queste forme di rinnovamento servono per renderci felici, ben vengano, avremo tante opportunità, strategie e aperture per avere altro cibo, anche se, in molti casi, a rifletterci bene, si riscontra poi con meraviglia che i progenitori contadini le avevano forse già sperimentate con pura semplicità molti secoli prima. Ci sarebbe quindi poco sentore di novità tra le molteplici forme di agricoltura?
Non provate a contraddire questo o quel modo di trapiantare i peperoni, perché ciò diventa spesso una vera e propria filosofia che a volte si arzigogola e si contorce, da difendere a denti stretti. Molto spesso si tratta di agricolture rappezzate provenienti da stralci di culture di terre lontane che non hanno niente a che fare con il nostro habitat mediterraneo, quindi irrazionali; in questi casi occorrerebbe anche un po’ di sana umiltà prima di fracassare i sistemi tradizionali dell’agricoltura dei nostri avi.
Si cercano soluzioni, nuovi alimenti da prodigiose virtù, rovistando tra i semi antichi di grano, varietà autoctone, passate nel dimenticatoio dell’agricoltura intensiva, qualche volta improvvisandosi esperti coltivatori, senza conoscere la fotosintesi, sognando una resa sicura; quella semina esemplare diventa un evento, un’affermazione, da ribadire all’opinione pubblica, un sistema per differenziarsi tra gli altri contadini, affermare la propria r-esistenza rurale con l’unicità della loro orgogliosa scelta.
Chi nasce da una cultura rurale sa molto bene che per produrre occorre pazienza, cura, sacrificio ed impegno. Il vero agricoltore riconosce la possibilità d’insuccesso e silenziosamente, seppur con sofferenza, si rassegna ad una gelata primaverile, solidarizza, si riunisce, si rimbocca le maniche, impugna la falce e riprende da zero il suo lavoro senza mai smarrirsi troppo tra le ciance.
Samudaya è preparata per parlarvi di agricoltura. Fate pure qui le vostre proposte o domande.
Agricoltura, agricultura
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