
Un po’ di tempo fa fui invitato da un amico ad assistere al concerto di musiche e canti antichi dell’Italia Meridionale, fui colpito da un canto in particolare dal titolo “Canto dei salarini di Trapani”, era un canto di inizio ‘800 siciliano appunto, ed era costituito da richiami – che i lavoratori si passavano l’un l’altro – che servivano a contare il numero delle “cartelle” (sacchi) di sale estratto durante la giornata. Ciò per non per farsi derubare dall’esattore padronale al momento del salario. Questi canti si chiudevano sempre con un’invocazione alla Madonna.
Il mare e i suoi mestieri. Un rapporto profondo che si è instaurato per secoli tra le popolazioni costiere e il Mediterraneo, un legame che ha dato l’opportunità di creare lavori permettendo di avere un minimo economico per poter sostenere la propria famiglia e vivere in modo dignitoso.
Il raccoglitore di alghe ad esempio – in alcune regioni della Francia e Spagna meridionale – era fondamentale, perché riusciva, attraverso varie fasi lavorative, a trasformare le alghe in concime utile in agricoltura; lo stesso accadeva per il raccoglitore di sabbia che grazie al suo lavoro ha reso possibile la creazione del vetro e con esso delle maestose vetrate istoriate ancor oggi ammirare in molte cattedrali gotiche. Sin dal XII secolo la principale forma di sfruttamento della zona costiera in quasi tutti i mari e del Mediterraneo in particolare, è data dalla raccolta del sale. La sua presenza ha sempre comportato una certa ricchezza e l’origine della sua produzione si perde nella notte dei tempi. Troppo prezioso il sale. Oltre che per il suo uso comune, quale condimento di pietanze, la sua maggiore particolarità consiste nella sua proprietà di conservante dei cibi.
Già dall’età del ferro, l’uomo mediterraneo ha adottato delle lavorazioni che con il passar del tempo si sono trasformate in procedure ben precise per la produzione del sale, sfruttando l’esistenza dei vari piani del terreno dove far decantare l’acqua marina proveniente dalle mareggiate.
Le saline presenti nel Mediterraneo sono senza dubbio le prime sia cronologicamente che per l’abbondanza del prodotto e le tecniche adottate nei vari luoghi, differiscono più nella terminologia che nei procedimenti.
Il principio in base al quale erano organizzate le saline si basava sul massimo sfruttamento dell’azione del sole e del vento che permettevano l’eliminazione dell’acqua marina e quindi nella decantazione graduale che migliorava la qualità e la quantità del sale.
Le varie vasche di decantazione erano collegate tra loro da condotti dotati di una lieve pendenza, per gravità l’acqua scorreva verso le successive vasche sino poi arrivare alle più basse chiamate “bacini di concrezione” dove sale cristallizzava.
Il lavoro che bisognava compiere consisteva principalmente nel mantenere in efficienza, attraverso la pulizia accurata, i condotti presenti tra un bacino e l’altro.
Una volta ottenuto il sale, era raccolto con lunghi rastrelli di legno e ammucchiato a piramide su uno spazio pianeggiante per poi essere stipato in costruzioni rigorosamente asciutte. Gli uomini che si occupavano di tale lavorazione erano chiamati salinai, salinari o salarini, e svolgevano sempre lo stesso lavoro durante l’intero anno solare. Salvo alcune eccezioni, la mano d’opera era fornita da operai che godevano dello stato di libertà, solo in qualche rara eccezione si ha notizia di schiavi nel Golfo di Venezia (l’odierno Adriatico).
Lo storico Jaques Le Goff sostiene che molte saline – in genere le più importanti – appartenevano soprattutto alle grandi abbazie, anche molto lontane dalle coste, in quanto beneficiarie di donazioni laiche.
Il consumo del sale avveniva – in un primo momento – a circuito chiuso, ed era destinato agli abitanti e al bestiame del feudo dell’abbazia – in un secondo momento – poi la circolazione del sale in terre oltre o confini dell’abbazia era affidata a gruppi di addetti che poi assunsero il nome di “flotte dell’abbazia”.
In molte cronache del Mediterraneo i “Salinatori” erano spesso descritti come le “persone più povere di tutti i paesi del circondario”, costrette a vivere alla giornata lavorando duramente e data l’enorme mole di lavoro erano costretti spesso a coinvolgere l’intera famiglia nella raccolta del prezioso minerale, coperti di debiti con il proprietario (cui spettavano i due terzi dei proventi) e con i mercanti di sale presso i quali erano costretti a ipotecare anticipatamente la parte loro spettante dei futuri guadagni.
La loro situazione economica quindi, versava in condizioni talmente critiche da riportare testimonianze che lamentavano frasi del tipo: “Siamo costretti a condire le verdure di cui ci cibiamo con il sale delle nostre lacrime”.
Un tardivo e primo riconoscimento dell’utilità sociale di questi lavoratori, fu concesso dalla Chiesa nel XVII secolo che, sia pur molto cautamente, concesse che il lavoro della raccolta del sale si potesse compiere anche la domenica, questo al fine di “non far prosciugare il sistema delle canalizzazioni e delle vasche, onde evitare il rischio di interrompere la produzione del sale”.
L’acqua di mare e il suo sale: due elementi sacri fondamentali, perché in alcune regioni mediterranee costituiscono gli elementi base del battesimo.
I raccoglitori di sale erano quindi, i “contadini del mare”; coltivavano e traevano il frutto che permetteva loro di vivere, oltre al fatto che grazie alla loro continua presenza lavorativa, vigilavano le coste e potevano in caso di necessità, trasformarsi in naviganti.
Pronti a qualsiasi evenienza, umili, spesso miserabili, erano uomini verso cui noi mediterranei europei, siamo ancora in debito.
L’oro bianco. Il sale
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