venerdì 14 novembre 2014

L’Alberello Pugliese, identità vitivinicola

Ascolta con webReader

ph. Mimmo Ciccarese ph. Mimmo Ciccarese


Le nostre viti ripiegate sui brevi tramonti di novembre indossano ancora il calore delle loro vivaci foglie che quest’anno non hanno proprio intenzione di cadere proponendo un’altra entusiasmante immagine agli appassionati del buon vino.


Sono due aspri toraci nodosi di legno avviticchiati senza governo tra gli spazi rurali delle nostre più tradizionali vigne che aiutano a contare solo tre gemme per branca su ogni sperone, giusto quelle che bastano per la buona produzione d’una particolare forma d’allevamento che tutti chiamano alberello pugliese.


Un portamento tipico così vetusto che se ne potrebbe ripercorrere l’età semplicemente misurando i tagli d’ogni invernata lungo ogni sua freccia legnosa; un’adozione che risale alla seconda metà dell’800 quando s’introdussero in Europa le viti selvatiche americane resistenti alla fillossera, un genere d’insetto appartenente ai Rincoti omotteri che in quel periodo aveva falciato troppi vigneti.


È un vigneto che nonostante computi ormai un bel numero d’assenze sul suo sesto d’impianto, quasi irregolare, garantisce e ributta ancora tralci così vigorosi che giungono a sfregarsi a vicenda ed esprimere con il pianto linfatico un evidente stato di sviluppo e di generosità.


Per il viticoltore è giunto quasi il tempo di potare, di razionalizzare la crescita d’ogni alberello e di ravvivare sulle produzioni fruttifere i futuri scambi tra chioma e radice che assicurano il dinamismo e la nobiltà del suo lavoro.


Si pota per separare o scegliere le gemme migliori, ancora dormienti, non rigonfie di buone promesse, per riavviare la direzione del fluido carico di sali minerali provenienti dall’assorbimento radicale e segnare un momento autunnale importante per l’identità vitivinicola del Mezzogiorno.


 



L’Alberello Pugliese, identità vitivinicola

Nessun commento:

Posta un commento