giovedì 25 settembre 2014

Un cesto colmo di melagrane

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melagranaSamudaya coglie dal suo giardino un vagone di paffute melagrane e le ripone delicatamente sul fondo del suo cesto. Qualcuna si è già dischiusa sporgendo i suoi chicchi a splendere al sole di ottobre. Punica Granatum dell’ordine dei Mirtali è il nome che la scienza ha scelto per il melograno, pianta proveniente dalla Persia, dall’Himalaya, molto coltivato nelle regioni caucasiche dell’Armenia.


La melagrana è una bacca carnosa propriamente chiamata balausta che si manifesta robusta e coriacea, lucida e rustica, che protegge un subisso di reparti asimmetrici detti arilli che contengono i semi; ma quello che più tipizza questo profilo sono proprio i residui del loro calice fiorale, una sorta di corona apicale opposta al picciolo.


A volte è un vero rompicapo sgranare un melograno, staccare minuziosamente, con la dovuta pazienza, i chicchi prismatici dalla sua polpa acidula, non si può fare a meno di radunarne a centinaia nel palmo della mano e compiere il miserevole atto di trasportarli al gusto.


Il valore delle melagrane è stato ben compreso dagli antichi egizi, da cui deriva la radice del suo nome, dai fenici, dalla città di Side e dal popolo ebraico cui univano il suo simbolo all’onestà e alla correttezza.  Per altre radici culturali il melograno ha rappresentato da sempre più di ogni altro frutto la produttività, la fertilità, la ricchezza, lo spirito di unione, del sapere filosofico e umanistico. Per questa ragione la bacca del melograno si è riportata sulle monete, sui dipinti medievali oltre che sullo stemma della città di Granada capitale Andalusa e di tante insegne araldiche e della mitologia classica.


Un piacere agro dolce, che ripassa le varietà più coltivate in Italia, dalla Selinunte al Dente di cavallo, dall’intensa Neirana alla Profeta tipica del Salento, consumate fresche o sotto forma di benefico sorbetto.


 



Un cesto colmo di melagrane

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