sabato 19 luglio 2014

Qui c’era un albero

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tronco tagliatoUn tempo qui c’era un albero. Per aver vivo il suo ricordo ho provato a percorrere a ritroso i cerchi della sua esistenza prima che fosse tagliato. Lo ripulisco delicatamente dai brandelli del suo legno e partendo dalla corteccia traccio ben settantuno anelli prima di fermarmi sull’anno zero, sul midollo che coincide con il 1945, anno della fine della seconda guerra mondiale che ricorda il triste agosto di Hiroshima.


L’anno del suo principio è quindi anche l’anno della ricostruzione e del riscatto dal più terribile periodo della nostra storia, molti non erano nati, qualcuno, purtroppo, non potrebbe mai comprenderlo.


Si può immaginare, invece, il giorno festoso della sua messa a dimora, i colpi sparati a salve, le moltitudini intorno ad acclamare l’evento, il discorso delle autorità. Da lì a poco, avrebbe guarnito le prime vie sterrate di scambio, avrebbe scortato i viali delle piccole stazioni ferroviarie da cui sarebbero partiti i nostri emigranti, in cerca di fortuna, o semplicemente lo avremmo visto crescere in modo isolato a tenerci compagnia.


Il trapianto di un albero ha sempre il fascino della presenza e dell’amore; potrebbe commemorare una data, un partigiano o un milite ignoto caduto per difendere la sua famiglia e la sua patria.


Mentre procedo con la conta sul tronco esamine, i fasci e le fibre del suo xilema piangono ancora la linfa grezza che le radici, continuano ad assurgere dal sottosuolo; le radici non sanno ancora che l’albero è ormai smembrato, la sua folta e sana chioma non respira più, non sanno ancora che avranno simile tragica sorte.


Cerco di inquadrare l’obiettivo sulla sanità del suo midollo e mi chiedo perché fosse stato atterrato. Il taglio è netto, evidenzia la decisione e la rapidità dell’azione, il freddo e potente motore che anticipa l’abbattimento del gigante mi disturba, sono davvero pochi attimi senza respiro e lo sento cadere sull’asfalto vicino ai piedi dei suoi esecutori, poi il silenzio della gente attorno.


Il legno libera la sua essenza, l’odore della resina diventa sempre più intenso, pervade l’intero sobborgo, lo associo all’incenso delle cerimonie religiose e rabbrividisco pensando ai milioni di baci che tanta gente ha inciso all’altezza del suo cuore, al solletico della sua ombra sulla loro pelle al deserto triste che quel monumento, ormai abbattuto, trasferirà su tante coscienze.



Qui c’era un albero

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