
Quante volte passeggiando per un borgo, un centro storico, è capitato di avere la sensazione di aver già vissuto quelle strade e quei palazzi, una sensazione di trasporto come una Sindrome di Stendhal in versione urbana.
Se si cammina nelle strette vie di città storiche dove si è circondati da testimonianze, questa sensazione è quasi una normalità; da un momento all’altro ci si aspetta che da dietro un angolo, una stradina, esca un personaggio in costume seicentesco che ci vuole chiedere qualcosa.
Qualche anno fa ero a Nardò, un centro di medie dimensioni della penisola salentina, nella splendida piazza Salandra invitato ad assistere a uno spettacolo in piazza.
Saranno state le luci basse e la splendida coreografia urbana che si apriva, la sensazione di essere catapultato nel passato era forte, molto forte.
La città di Nardò ha un profondo legame con la sua storia fatta di splendori; una storia che si perde nelle nebbie del tempo e che sovente è contornata da episodi che hanno caratterizzato l’intera storia del Sud. Uno di questi – non ultimo in ordine d’importanza – è dato dalla rivoluzione di Masaniello avvenuta nel luglio del 1647. Come ben sappiamo questa avvenne il giorno della celebrazione dei festeggiamenti della Madonna del Carmelo, quando al grido di “serra serra”, il popolo napoletano con al capo il giovane venditore di pesce, Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello, riuscì a tenere in scacco – anche se per un arco di tempo molto limitato – il regno spagnolo che all’epoca governava l’intero meridione della penisola italiana. Il governo spagnolo esercitava il controllo dei territori italiani attraverso un Consiglio Supremo che aveva sede a Madrid, data l’enorme distanza che intercorreva, l’influenza madrilena nelle propaggini periferiche era pressoché ininfluente.
A Napoli gli spagnoli avevano investito un loro Viceré – il duca d’Arcos – con nomina a tempo indeterminato, mentre in Sicilia e in Sardegna la carica aveva un tempo massimo di tre anni; questo garantiva un certo ricambio oltre che nella persona del governatore anche nella politica esercitata sul territorio.
Il diffondersi delle idee rivoluzionarie del popolo napoletano non tardarono a contaminare altre realtà urbane del regno come Messina e Palermo in Sicilia; Lecce, Brindisi, Taranto, Ostuni e Nardò in Puglia.
Il 21 luglio del 1647 il popolo neretino insorse contro le pretese economiche dettate da Giovan Girolamo Acquaviva Conte di Conversano detto il Guercio di Puglia; questi una volta appurato che la citta di Nardò godeva di una serie di privilegi consistenti in sostanziali provvigioni economiche, non tardò ad ambire a tali ricchezze imponendo il pagamento di nuovi balzelli e tasse.
Il Conte allo scoppio della rivolta era lontano dalla città di Nardò e quando apprese la notizia non tardò a schierarsi al fianco del Viceré. Una volta avvenuta l’uccisione di Masaniello a Napoli, fu incaricato dallo stesso Viceré di ristabilire l’ordine anche nel centro salentino, cosa che il Conte si prodigò a compiere in modo rapido ed efficace.
La città era ben difesa oltre che dalle mura, anche dalla decisa e unitaria azione dei neretini che con caparbietà e coraggio riuscirono a respingere i primi assalti.
Visto il fallimento di un attacco frontale, il Conte adottò una strategia: ordinò di lanciare bande al suo servizio al saccheggio delle campagne, sperando di dividere il fronte interno.
La strategia del saccheggio dette i suoi frutti, tanto che a causa delle devastazioni e degli incendi delle masserie presenti nel feudo neretino, gli abitanti di Nardò si dissociarono e una parte di essi acconsentì a trattare con il Conte Acquaviva.
La città in seguito depose le armi negoziando un accordo che prevedeva la sospensione immediata delle rappresaglie, ma il Conte non mantenne gli accordi e una volta entrato in città non esitò a catturare i promotori della sommossa che dopo l’arresto, furono giustiziati. Tale azione ristabilì in modo violento il potere del Conte in città.
Testimone silenzioso e monumentale di tali accadimenti – e non solo – è l’edificio del “Sedile” posto nell’odierna Piazza Salandra.
La tipologia di tali edifici detti appunto “Sedili”, ha origine nella città di Napoli intorno alla metà del ‘200, la loro funzione era di ospitare un piccolo Senato nel quale si riunivano i delegati dei vari rioni che si apprestavano a decidere della vita amministrativa della città. L’edificio del Sedile ha sempre ricoperto questa importante carica nel corso dei secoli anche con il susseguirsi di nuove dominazioni, così è stato fino a quando il re Ferdinando IV di Borbone nel 1800 – subito dopo i tragici fatti della rivoluzione partenopea del 1799 – non decise la soppressione dei senati cittadini, svuotando i Sedili della loro funzione di edificio amministrativo.
Il Sedile di Nardò fu il testimone particolare degli avvenimenti dell’eco della rivoluzione di Masaniello che portarono alla capitolazione di buona parte della “intelligentia” neretina e soprattutto la fine del Sindaco del Popolo Cesare di Paolo, difensore dei diritti dei neretini contro la prepotenza del Conte.
Cesare di Paolo fu assassinato con un colpo d’arma da fuoco dai seguaci del Conte: la sua testa fu esposta all’interno del Sedile a monito della fine che spettava a chiunque si fosse opposto al potere del Conte.
E allora, se vi trovate nella piazza Salandra di Nardò, tra le mura dei suoi edifici che ancora raccontano d’importanti avvenimenti, potrete incontrare lo spirito del Sindaco del Popolo Cesare di Paolo, pronto a narrarvi ciò che accadde in quel luglio del 1647.
Un testimone silenzioso: il Sedile di Nardò
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