domenica 31 agosto 2014

Riflettere per la razionalità di una potatura specializzata

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ulivi secolari potati ph Mimmo Ciccarese


Qualsiasi intervento di potatura deve essere eseguito “a regola d’arte” . La razionalità di una potatura non sempre coincide con l’equilibrio tra chioma e radice, anzi, spesso il potatore deve adeguarsi, trovare le soluzioni possibili senza arrecare danno alla pianta e prevedere quello che essa farebbe senza le sue decisioni.


Ci sono condotte di potatura che nel gergo tecnico non sono ben definite perché in Italia non esistono linee guida comuni, così com’è nella legislazione di altri Stati. Nei capitolati di appalto di una potatura non sempre si dettagliano le operazioni che descrivono con precisione il tipo o l’entità dell’intervento e le questioni in merito si accrescono a dismisura. Si preferisce lasciar fare con fiducia ed ecco che le spalcature diventano tremende capitozzature e un’ordinario diradamento interno della chioma diventa una potatura straordinaria di ristrutturazione.


Attualmente non esiste un albo che elenchi dei potatori qualificati che abbiano conseguito una valida licenza, con tanto di esame da superare; ci si basa spesso solo su cenni d’esperienza ereditata o sul cattivo esempio da imitare ed ecco che i lecci e i pini delle città sono trasformati come ulivi o viceversa e ci potrebbe essere molto di più da documentare.


Un corso di potatori specializzati fornisce le competenze che spiegano la sottile differenza tra accrescimento e sviluppo vegetativo, le funzioni fisiologiche della fotosintesi o della respirazione, la fondamentale regola del taglio di ritorno o di quella dei tre tagli. Di fronte all’imperizia e al dilettantismo, aumentano i dubbi e le conseguenti rovine; sono perciò inevitabili il disinteresse e l’indifferenza per il valore che il bene comune arboreo ci concede. Un bene per cui le amministrazioni pubbliche più sensibili dovrebbero ricercare qualità e professionalità in grado di curarlo e difenderlo.


È molto grave intervenire ad esempio su un ulivo monumentale d’indubbio valore etico, storico e ambientale con tecniche personalizzate, improvvisate e senza criterio che ridicolizzano perfino i suoi autori. Se si pensa che un ulivo millenario ha il valore di un opera d’arte la potatura si dovrebbe considerare come un prezioso lavoro di restauro.


Occorre controllare e sanzionare, così come prevede una recente legge sugli alberi monumentali, quando ad esempio l’entità e l’esposizioni dei tagli, spesso orientate a ricavarne legna da ardere, sono eccessive rispetto alle regole naturali che riguardano il trasporto e l’accumulo di sostanze nutritive e di riserva.


È assurdo ed errato pensare, ad esempio, che una pianta come l’ulivo, pur possedendo enormi possibilità di ricacciare, possa sempre riafferrare la sua vitalità dopo un’asportazione sconsiderata di rami e foglie.  In tale situazione è sempre opportuno tener conto dell’epoca in cui s’interviene oltre che dell’età della pianta e le condizioni pedo climatiche in cui versa il suo habitat.


Sono accorgimenti tecnici e semplici che spesso sono inverosimilmente o addirittura volontariamente trascurati, lo si nota passeggiando lungo i viali cittadini e per le strade di campagna. Dall’osservazione e dalla valutazione tecnica si potrebbe passare con facilità ad esporre lo sgradevole scempio che oggigiorno diventa sempre più comune.


Forse questo è il momento di approfondire il concetto di razionalità di una potatura o di cura degli alberi, perché chi ci visita e rimane sbigottito potrebbe pensare che non siamo abbastanza bravi da tutelare il nostro patrimonio arboreo.


Samudaya è disponibile, vi offre questa possibilità.



Riflettere per la razionalità di una potatura specializzata

sabato 30 agosto 2014

L’altro uso del peperoncino

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il peperoncino ph di M.Ciccarese


Il peperoncino è membro alla famiglia delle solanacee, la forma della sua bacca paragonata a una scatola, rende il nome botanico Capsicum annum e al suo alcaloide.


La capsicina è il garante del piccante nel peperoncino, si produce nelle ghiandole situate tra il frutto e il tessuto che sostiene i semi.


Oltre ad aver un uso alimentare, il peperoncino, grazie alla sua concentrazione di capsicina può essere impiegato anche in agricoltura, ad esempio quando c’è un esercito di pidocchi nei dintorni dei vostri cavoli che vi rompono.


È un antiparassitario naturale, che svolge azione dissuasiva nei confronti di funghi e afidi che non arreca danno all’ambiente e che può essere adoperato in alternativa ai prodotti convenzionali.


La polvere di peperoncino, ottenuta da bacche disidratate e sbriciolate, si scioglie, in misura di tre o quattro grammi per ogni centilitro di acqua e si nebulizza nelle ore fresche della giornata almeno una – due volte a settimana a secondo della presenza più o meno numerosa di parassiti.


Un interessante occupazione che vi distoglierà dal seminare quest’essenza non solo per condire i vostri cibi, ma anche per avere un antiparassitario naturale quasi a costo zero.



L’altro uso del peperoncino

giovedì 28 agosto 2014

Un testimone silenzioso: il Sedile di Nardò

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Quante volte passeggiando per un borgo, un centro storico, è capitato di avere la sensazione di aver già vissuto quelle strade e quei palazzi, una sensazione di trasporto come una Sindrome di Stendhal in versione urbana.


Se si cammina nelle strette vie di città storiche dove si è circondati da testimonianze, questa sensazione è quasi una normalità; da un momento all’altro ci si aspetta che da dietro un angolo, una stradina, esca un personaggio in costume seicentesco che ci vuole chiedere qualcosa.


Qualche anno fa ero a Nardò, un centro di medie dimensioni della penisola salentina, nella splendida piazza Salandra invitato ad assistere a uno spettacolo in piazza.


Saranno state le luci basse e la splendida coreografia urbana che si apriva, la sensazione di essere catapultato nel passato era forte, molto forte.


La città di Nardò ha un profondo legame con la sua storia fatta di splendori; una storia che si perde nelle nebbie del tempo e che sovente è contornata da episodi che hanno caratterizzato l’intera storia del Sud. Uno di questi – non ultimo in ordine d’importanza – è dato dalla rivoluzione di Masaniello avvenuta nel luglio del 1647. Come ben sappiamo questa avvenne il giorno della celebrazione dei festeggiamenti della Madonna del Carmelo, quando al grido di “serra serra”, il popolo napoletano con al capo il giovane venditore di pesce, Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello, riuscì a tenere in scacco – anche se per un arco di tempo molto limitato – il regno spagnolo che all’epoca governava l’intero meridione della penisola italiana. Il governo spagnolo esercitava il controllo dei territori italiani attraverso un Consiglio Supremo che aveva sede a Madrid, data l’enorme distanza che intercorreva, l’influenza madrilena nelle propaggini periferiche era pressoché ininfluente.


A Napoli gli spagnoli avevano investito un loro Viceré – il duca d’Arcos – con nomina a tempo indeterminato, mentre in Sicilia e in Sardegna la carica aveva un tempo massimo di tre anni; questo garantiva un certo ricambio oltre che nella persona del governatore anche nella politica esercitata sul territorio.


Il diffondersi delle idee rivoluzionarie del popolo napoletano non tardarono a contaminare altre realtà urbane del regno come Messina e Palermo in Sicilia; Lecce, Brindisi, Taranto, Ostuni e Nardò in Puglia.


Il 21 luglio del 1647 il popolo neretino insorse contro le pretese economiche dettate da Giovan Girolamo Acquaviva Conte di Conversano detto il Guercio di Puglia; questi una volta appurato che la citta di Nardò godeva di una serie di privilegi consistenti in sostanziali provvigioni economiche, non tardò ad ambire a tali ricchezze imponendo il pagamento di nuovi balzelli e tasse.


Il Conte allo scoppio della rivolta era lontano dalla città di Nardò e quando apprese la notizia non tardò a schierarsi al fianco del Viceré. Una volta avvenuta l’uccisione di Masaniello a Napoli, fu incaricato dallo stesso Viceré di ristabilire l’ordine anche nel centro salentino, cosa che il Conte si prodigò a compiere in modo rapido ed efficace.


La città era ben difesa oltre che dalle mura, anche dalla decisa e unitaria azione dei neretini che con caparbietà e coraggio riuscirono a respingere i primi assalti.


Visto il fallimento di un attacco frontale, il Conte adottò una strategia: ordinò di lanciare bande al suo servizio al saccheggio delle campagne, sperando di dividere il fronte interno.


La strategia del saccheggio dette i suoi frutti, tanto che a causa delle devastazioni e degli incendi delle masserie presenti nel feudo neretino, gli abitanti di Nardò si dissociarono e una parte di essi acconsentì a trattare con il Conte Acquaviva.


La città in seguito depose le armi negoziando un accordo che prevedeva la sospensione immediata delle rappresaglie, ma il Conte non mantenne gli accordi e una volta entrato in città non esitò a catturare i promotori della sommossa che dopo l’arresto, furono giustiziati. Tale azione ristabilì in modo violento il potere del Conte in città.


Testimone silenzioso e monumentale di tali accadimenti – e non solo – è l’edificio del “Sedile” posto nell’odierna Piazza Salandra.


La tipologia di tali edifici detti appunto “Sedili”, ha origine nella città di Napoli intorno alla metà del ‘200, la loro funzione era di ospitare un piccolo Senato nel quale si riunivano i delegati dei vari rioni che si apprestavano a decidere della vita amministrativa della città. L’edificio del Sedile ha sempre ricoperto questa importante carica nel corso dei secoli anche con il susseguirsi di nuove dominazioni, così è stato fino a quando il re Ferdinando IV di Borbone nel 1800 – subito dopo i tragici fatti della rivoluzione partenopea del 1799 – non decise la soppressione dei senati cittadini, svuotando i Sedili della loro funzione di edificio amministrativo.


Il Sedile di Nardò fu il testimone particolare degli avvenimenti dell’eco della rivoluzione di Masaniello che portarono alla capitolazione di buona parte della “intelligentia” neretina e soprattutto la fine del Sindaco del Popolo Cesare di Paolo, difensore dei diritti dei neretini contro la prepotenza del Conte.


Cesare di Paolo fu assassinato con un colpo d’arma da fuoco dai seguaci del Conte: la sua testa fu esposta all’interno del Sedile a monito della fine che spettava a chiunque si fosse opposto al potere del Conte.


E allora, se vi trovate nella piazza Salandra di Nardò, tra le mura dei suoi edifici che ancora raccontano d’importanti avvenimenti, potrete incontrare lo spirito del Sindaco del Popolo Cesare di Paolo, pronto a narrarvi ciò che accadde in quel luglio del 1647.



Un testimone silenzioso: il Sedile di Nardò

lunedì 25 agosto 2014

Quando le dune si vestono di Tamerici

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tamerixIl litorale ionico del sud della puglia si veste di tamerici, una pianta della famiglia delle Tamaricaceae, un genere di pianta arbustiva che si può trovare anche nelle zone sabbiose dell’India e della Cina. Il nome deriverebbe dal fiume Tamaris che scorre tra le catene dei Pirenei tra Francia e Spagna, si modifica in tamerisco, scopa marina o cipressino.


I fiori del tamerice sono spumosi e riuniti in spighe sottili, i frutti sono delle capsule a base triangolare a forma di piramide,  le foglie squamose e verde glauco molto simili a quelle delle conifere per certe specie, in alcuni momenti della giornata essudano la linfa come se fosse un rigurgito di sale.


In genere, le trovi a frangere il vento, a trattenere la sabbia qualche metro prima del bagnasciuga e a contrastare le sfumature del mare. Le tamarici sarebbero la felpata criniera delle dune o le barriere naturali che proteggono le residenze dall’azione salmastra delle tramontane.



Quando le dune si vestono di Tamerici

martedì 12 agosto 2014

Tra le stelle d’agosto

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spazioOltre alle stelle comuni, ce ne sono tante altre che ravvivano e inaugurano l’ingresso alle notti d’agosto. Ci sono stelle che siamo in grado di immaginare e altre reali che riguardano i moti della volta celeste.


Le stelle che si manifestano all’uomo sono quelle più vicine alla Terra, quelle che bruciano di più, quelle solitarie, quelle così grandi da non passare  inosservate e quelle che si aggregano a formare gli ammassi.


Ci sono stelle che siamo in grado di immagianre e poi stelle reali che riguardano i moti della volta celeste. Quelle corporee che si manifestano all’uomo sono quelle più vicine alla Terra, quelle che bruciano di più, quelle solitarie, quelle così grandi da non passare  inosservate e quelle che si aggregano a formare gli ammassi.


Quest’ultimo è il caso delle Pleiadi, meglio conosciute come le Sette sorelleMerope, Maia, Elettra, Celaeno, Taigete, Alcyone e Asterope, le Stelle blu o Stelle del fuoco; sono super luminose e si portano dietro un ammasso di centinaia di stelle. Una caterva stellare, nata quindi poco tempo fa, si fa per dire, con una vita prevista di centinaia di milioni di anni. Sono chiamate sorelle perché sorgono da un origine comune, sono così legate tra loro tanto da illuminarsi a vicenda.


Oltre alle stelle più conosciute ce ne sono altre che ravvivano e inaugurano l’ingresso alle notti tra la prima e la seconda decade d’agosto. In realtà sono  sciami di stelle, polveri di cometa, conosciuti come le “Lacrime di San Lorenzo”, quelle che ci illudono di spostarsi o cadere,  al contatto con l’atmosfera terrestre, quando i moti orbitali del nostro pianeta, tra una stella e l’altra, sfiorano le famiglie di meteoriti, già dichiarate con il nome di Perseidi.


In ogni caso per non scordarci della loro presenza proviamo a ordinarle in base alla loro intensità luminosa, perché oltre per ogni elencata molte altre non si conoscono; se c’è qualcuno che ne ha notizia di altre, potrebbe serenamente indicarcele.


Se escludiamo il Sole, tra le stelle singole conosciute, quella di Sirio potrebbe essere la più splendente. La stella di Sirio già conosciuta dagli astronomi Egizi e Assiri come la Stella del Cane, nelle notti limpide, quando non c’è l’intralcio di luna e pianeti è addirittura in grado di proiettare sulla Terra un’esile ombra degli oggetti. Sirio è distante dalla Terra 8,6 anni luce e splende venticinque volte quella del sole, anche se molto di meno rispetto a quella più distante di Canopo.


Canopo è la seconda stella più visibile, alle latitudini di 37° Nord, con un raggio più di settanta volte quello del Sole, era conosciuta tra gli antichi greci Argonauti che lo associavano agli ultimi remi della loro nave. Pare che si mostri in inverno sul cielo delle isole più meridionali della Sicilia e delle coste dell’Africa settentrionale.


Alfa Centauri è la terza stella più brillante nel cielo visibile a occhio nudo si pone nella costellazione australe del Centauro. Conosciuta dall’astronomia fin dal XVII secolo, come Rigel Kentaurus, è la più vicina e la più affine al Sole. Una recente scoperta di un corpo orbitante, ci rende questa stella tra le più affascinanti, quella che potrebbe stimolare la fantasia del cinema e dei romanzi.


La più luminosa tra le stelle conosciute è Eta Carinae, un corpo ipergigante, che accende milioni di volte più del Sole. Si trova all’interno della costellazione della Carena; è così smisurata che potrebbe scoppiare, secondo gli scienziati, tra qualche migliaio di anni. Nonostante fosse una stella binaria, cioè con una compagna che le ronza intorno, non si riesce a vedere a occhio nudo perché l’area di cielo che occupa pare che fosse particolarmente variegato.



Tra le stelle d’agosto

Tra le stelle d'Agosto

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Oltre alle stelle comuni, ce ne sono tante altre che ravvivano e inaugurano l’ingresso alle notti d’agosto. Ci sono stelle che siamo in grado di immaginare e altre reali che riguardano i moti della volta celeste.


Le stelle che si manifestano all’uomo sono quelle più vicine alla Terra, quelle che bruciano di più, quelle solitarie, quelle così grandi da non passare  inosservate e quelle che si aggregano a formare gli ammassi.


Ci sono stelle che siamo in grado di riprodurre con la fantasia e poi stelle reali che riguardano i moti della volta celeste.Quelle corporee che si manifestano all’uomo sono quelle più vicine alla Terra, quelle che bruciano di più, quelle solitarie, quelle così grandi da non passare  inosservate e quelle che si aggregano a formare gli ammassi.


Quest’ultimo è il caso delle Pleiadi, meglio conosciute come le Sette sorelleMerope, Maia, ElettraCelaeno, TaigeteAlcyone e Asterope, le Stelle blu o Stelle del fuoco; sono super luminose e si portano dietro un ammasso di centinaia di stelle. Una caterva stellare, nata quindi poco tempo fa, si fa per dire, con una vita prevista di centinaia di milioni di anni. Sono chiamate sorelle perchè sorgono da un origine comune, sono così legate tra loro tanto da illuminarsi a vicenda.


Oltre alle stelle più conosciute ce ne sono altre che ravvivano e inaugurano l’ingresso alle notti tra la prima  e la seconda decade d’agosto. In realtà sono  sciami di stelle, polveri di cometa, conosciuti come le “Lacrime di San Lorenzo”, quelle che ci illudono di spostarsi o cadere,  al contatto con l’atmosfera terrestre, quando i moti orbitali del nostro pianeta, tra una stella e l’altra, sfiorano le famiglie di meteoriti, già dichiarate con il nome di Perseidi.


In ogni caso per non scordarci della loro presenza proviamo a ordinarle in base alla loro intensità luminosa, perché oltre per ogni elencata molte altre non si conoscono; se c’è qualcuno che ne ha notizia di altre, potrebbe serenamente indicarcele.


Se escludiamo il Sole, tra le stelle singole conosciute, quella di Sirio potrebbe essere la più splendente. La stella di Sirio già conosciuta dagli astronomi Egizi e Assiri come la Stella del Cane, nelle notti limpide, quando non c’è l’intralcio di luna e pianeti è addirittura in grado di proiettare sulla Terra un’esile ombra degli oggetti. Sirio è distante dalla Terra 8,6 anni luce e splende venticinque volte quella del sole, anche se molto di meno rispetto a quella più distante di Canopo.


Canopo è la seconda stella più visibile, alle latitudini di 37° Nord, con un raggio più di settanta volte quello del Sole, era conosciuta tra gli antichi greci Argonauti che lo associavano agli ultimi remi della loro nave. Pare che si mostri in inverno sul cielo delle isole più meridionali della Sicilia e delle coste dell’Africa settentrionale.


Alfa Centauri è la terza stella più brillante nel cielo visibile a occhio nudo si pone nella costellazione australe del Centauro. Conosciuta dall’astronomia fin dal XVII secolo, come Rigel Kentaurus, è la più vicina e la più affine al Sole. Una recente scoperta di un corpo orbitante, ci rende questa stella tra le più affascinanti, quella che potrebbe stimolare la fantasia del cinema e dei romanzi.


La più luminosa tra le stelle conosciute è Eta Carinae, un corpo ipergigante, che accende milioni di volte più del Sole. Si trova all’interno della costellazione della Carena; è così smisurata che potrebbe scoppiare, secondo gli scienziati, tra qualche migliaio di anni. Nonostante fosse una stella binaria, cioè con una compagna che le ronza intorno, non si riesce a vedere a occhio nudo perché l’area di cielo che occupa pare che fosse particolarmente variegato.


 



Tra le stelle d'Agosto

giovedì 7 agosto 2014

Fior di zucca

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fior di zucca“Fiur di cucuzza, ci tene le corne longhe se le mmuzza” (proverbio Salentino)


Ci sono pochi fiori bizzarri come quello di zucca. Questo fiore esprime meno significati rispetto al suo frutto. Quando pensi a questo fiore, ti ricordi di un piatto tipico della cucina tradizionale mediterranea; pochi minuti di sbattimento tra uova e farina, una fugace frittura in olio d’oliva, et voilà, ti diventa un contorno delicato per l’estate.


I fiori delle ortive non sono quasi mai romantici, se ci fosse una classifica all’uopo, quello di zucca, sarebbe fra gli ultimi. Più che un fiore è un fiorellaccio da stornello leccese “Fiorin di zucca, la donna quando e zita è mezza matta, quando ha marito poi mattisce tutta, fiori di tutti i fiori, fiorin di zucca”.


Un fiore dall’aspetto acceso e sguaiato che non avrebbe chance nel linguaggio dei fiori. Non sognatevi, quindi, di far conquiste offrendo un mazzolino di fiori zucca; anche se appena colto e salvo che essa non sia un’azione davvero motivata, potreste rischiare un memorabile insuccesso.


Quando si sentono dire nel Salento, nel Sud della Puglia, le colorite parole: “ si beddrhu comu nu fiuru de cucuzza” si manifesta una non- lusinga, che suona un po’ come un pernacchio napoletano, lievemente graffiante; in genere lo si dice per allentare un eccesso di vanità.


Nel Salento, terra dell’umorismo e dell’ironia, il paragone al fiore di zucca non si riferisce alla fisiologia dell’individuo o forma delle cose, quanto alla goffaggine di alcune azioni, di qualsiasi genere, quando esse siano esaltate con smoderata enfasi. Un fiore, quindi, da non portare all’occhiello del vostro migliore abito della domenica.



Fior di zucca

venerdì 1 agosto 2014

Note di storia e d'amore

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La composizione musicale ha sovente accompagnato lo stato d’animo sia di un individuo che di un popolo, per la sua capacità di fissare e tramandare accadimenti che riescono poi ad insediarsi nell’immaginario collettivo sino a trasformarsi in canzone popolare.


La canzone popolare nel bacino del Mediterraneo racconta, in maniera struggente e a volte con ironia e sarcasmo, il punto di vista del popolo, riesce a mettere in scena la sua cultura attraverso l’uso di parole, suoni ed espressioni tipiche sulla base di una composizione musicale in genere molto semplice.


La sua funzione fondamentale è quella di riuscire a essere facilmente trasmissibile, questa sua peculiarità le conferisce il ruolo di linguaggio del popolo, perché nata in modo spontaneo per parlare tra il popolo e con il popolo.


In Italia ogni regione ha una sua cultura e una sua tradizione musicale che è stata tramandata fra le generazioni per via orale e grazie a questi passaggi, che sono giunti sino a noi canti e danze che ancora ci stupiscono per il loro significato oltre che per la capacità ritmica.


Il Mediterraneo ha spesso custodito e trasmesso tradizioni, canti e balli che arricchiscono lo scenario – già molto ricco – della musica popolare; penso alla tradizione balcanica, a quella greca, sarda, pugliese, siciliana, catalana, napoletana ecc.


Nelle zone interne del Mediterraneo settentrionale il canto popolare assume una forma corale e di coinvolgimento che si traduce poi in ballata, tipica delle vallate e degli altopiani; mentre a sud la musica popolare affonda le radici nel bagaglio lasciato da millenni di traffici e invasioni, per poi trasformarsi nella storia della gente comune che nel quotidiano affronta le difficoltà e la povertà, assistendo al tempo stesso agli eventi che tracciano e segnano le sorti di un territorio.


I canti popolari nella loro spontaneità sono riusciti a descrivere il malcontento che ha caratterizzato i periodi bui della storia trasformandosi così – in molti casi – in vera e propria canzone politica.


 


Di esempi di questo tipo ne esistono molti; Il canto dal titolo “La serpe a Carolina” per esempio (di un anonimo autore napoletano del ‘700), racconta di come la regina Maria Carolina d’Austria sposa di Ferdinando I di Borbone, abbracciasse in un primo momento le idee illuministiche a tal punto da inviare come viceré in Sicilia, Francesco D’Aquino principe di Caramanico.


Il principe era molto vicino alle idee liberali e una volta insediatosi, iniziò una serie di riforme a favore dei contadini e dei liberali che crearono molto malcontento ai feudatari siciliani.


L’avvento della rivoluzione in Francia e la conseguente decapitazione di Maria Antonietta sorella della regina Maria Carolina, fecero cambiare radicalmente l’atteggiamento alla regina che iniziò una serie di vessazione nei confronti del povero D’Aquino sino a quando ella non decise, in accordo con un nuovo consigliere, l’irlandese John Acton, di mettere fine all’esistenza del povero viceré facendolo avvelenare durante una cena a casa di una nobildonna siciliana.


 


Un altro canto, ma questa volta non politico ma passionale è “Lu rusciu de lu mare”, anche questo scritto da un anonimo, probabilmente gallipolino, che racconta dell’amore impossibile tra una nobildonna e un soldato.


Un amore contrastato dal divario del ceto sociale, un amore disperato, raccontato attraverso similitudini: il gracidare delle rane, che la nobildonna ascolta mentre attraversa una zona umida e paludosa del gallipolino, le ricorda il rumore del suo mare (da cui il titolo); un canto romantico quindi, che narra di un amore che non potrà mai avere un esito felice, l’autore ricorre anche all’immagine di due culture lontane tra loro quale quella turca e quella aragonese.


 


L’apogeo della canzone popolare storica è costituito dalla “Tarantella del Gargano”. Si tratta di una tarantella montanara dell’area garganica. Le indagini fanno risalire questa splendida melodia agli inizi del ‘500, ed è uno dei canti detti “sonetti” (sunétt) che nel paese di Carpino (FG) i cantori portavano come serenata in giro per le strade e sotto le finestre del paese; la sua esecuzione prevedeva una voce alta, una chitarra battente, una chitarra francese e tamburello.


Il motivo si basa su di un giro armonico elementare composto da 4 accordi. Enzo Gragnaniello autore di molti pezzi famosi e grande paroliere di Mia Martini, accosta questa splendida melodia al ritmo del blues in America, composto anch’esso da pochi accordi di base dove ognuno poi ha potuto elaborare la sua musica.


La Tarantella del Gargano, con i suoi 5 accordi ha fornito la base di molteplici elaborazioni musicali tanto da poter essere considerata il giro armonico del Sud Italia.



Note di storia e d'amore