mercoledì 29 ottobre 2014

Mela Kako per essere coraggioso

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melakakoL’albero del Kako (Diospyros kaki) è uno dei più antichi alberi da frutto coltivati dall’umanità. È particolarmente coltivato nella Cina meridionale, conosciuto anche come Mela d’Oriente. Per i cinesi è l’albero delle Sette Virtù, per i giapponesi è l’albero della Pace, per essere scampato alla bomba di Nagasaki, mentre per i greci è il frumento di Giove.


In Italia pare che il primo albero di Kaki sia stato piantato nel giardino di Boboli a Firenze. La Campania, in particolare dell’agro di Nocera, e la Sicilia, con la varietà di Misilmeri, rappresentano le regioni, dove è più diffusa la sua coltivazione.


Si coltiva meno nel Salento, del sud della Puglia, dove si dice che quest’albero (arviru de Kau) rappresenti il coraggio di partire. Questo coraggio è definito dal numero di semi che trova nel suo frutto. Sarebbe anche il numero delle città di arrivo dove seminarli. Da qui poi la filastrocca: “Apru lu Kau, nuzzulu ttrou, Kau Kau nuzzulu neu” (taglio il Kako trovo un seme, Kako Kako nocciolo nuovo). Una metafora creata ad hoc da qualche emigrato partito da giovane per cercar fortuna all’estero.


Già, la quantità di semi che ci aspetta nel frutto di Mela Kako è sempre un’incognita, a volte sono numerosi altre volte non ne trovi nessuno. Questo dipende dalla varietà partenocarpiche, cioè da quelle cultivar che sviluppano comunque il frutto senza fecondazione e quindi privi di semi.


Il frutto che ha il colore di un sole al tramonto, esprime calore ed energia, contiene altrettanti benefici. È ricco di Sali minerali come il potassio e il fosforo, vitamine e betacarotene e porta innumerevoli proprietà terapeutiche quali diuretiche, depurative e lassative



Mela Kako per essere coraggioso

lunedì 27 ottobre 2014

Quando le foglie cadono

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viraggi foglie di vite -Per le piante la dormienza è una sorta di segreto e delicato riposo vegetativo, simile al letargo degli animali, durante la quale le cellule rallentano le loro attività fino quasi a sospendersi. Questo stato coincide all’incirca con il periodo autunnale quando l’albero stacca le sue foglie.


Le foglie che cadono sono l’ouverture dell’inverno, si associano a quel dolce stacco che richiama la linfa elaborata e dicono all’albero di non disperderla e di accumularla nel suo tronco sotto forma di riserva utile per la prossima fioritura.


Senza troppi sforzi, la caduta delle foglie ripete all’albero che la buona stagione è ancora lontana, che le rigide temperature possono nuocere i suoi tessuti ed è ormai arrivato il tempo di difendersi.


Le piante decidue adottano delle strategie che sorprendono. All’opposto degli esseri umani si spogliano per proteggersi, esse denudano la loro chioma per sopravvivere. Solo in questo modo potrebbero passare indenni i cali repentini delle temperature e le variazioni dell’intensità luminosa.


Come se fosse un intimo gioco tra le parti in equilibrio, tra apparati epigei e contrafforti radicali, la pianta risponde de-pigmentando la clorofilla, virando e ossidando i suoi colori dallo smeraldo alla rossa ruggine passando per l’ocra e l’arancio.


Le foglie cadono e assumono lentamente le sfumature della loro terra perché all’altezza del loro ormai sottile picciolo si crea un setto di abscissione, un lieve collare in grado di mobilitare masse di ormoni vegetali.


I toni della cascola fogliare replicano, nonostante tutto, quelle frequenze che ci confortano lo spettacolo del movimento delle stagioni e rendono il fascino ai nostri brillanti crepuscoli di fine ottobre.


 



Quando le foglie cadono

domenica 12 ottobre 2014

Lu sule ca te ite te scarfa

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032Il sole che ti vede ti riscalda.  In questo proverbio salentino basta surrogare un pronome con una congiunzione per arruffare tutto il suo significato.


L’accezione più plausibile e accreditata è quella che si avvicina a quella più nota del “Carpe diem”, tratta dalle Odi del poeta latino Orazio che t’invita a cogliere l’attimo ma che letteralmente sarebbe più appropriato tradurla come “ vivi il presente e non pensare al futuro”.


La locuzione del Carpe diem si rafforza sorprendentemente con quella del detto popolare salentino.


In questo caso i salentini con l’onnipresenza del sole, che si rivela in qualsiasi momento della loro giornata, anche d’inverno, possono tranquillamente dire con orgoglio che il loro proverbio ha il gusto e il diletto di una massima Zen.


L’autorità di questo proverbio ci raggiunge proprio come un barlume di sole amico che si accorge di noi per illuminarci un’azione.


Forse con questo detto i salentini, popolo più orientale d’Italia, vorrebbero rivendicare per primi, la paternità di una stella che tramonta sempre per rinascere.



Lu sule ca te ite te scarfa

giovedì 2 ottobre 2014

A caccia di Farfalle

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a caccia di farfalle ph m.Ciccarese


Non è una novità che un bruco si trasformi in farfalla, lo sanno tutti. Quello che non si sa è che molte di loro non riescono a uscire dal loro bozzolo, altre si spengono in volo e altre invece dopo aver bevuto dalla rugiada di un semplice fiore.


È quello che succede agli insetti di qualsiasi classe quando un agricoltore si permette di trattare le sue colture con i pesticidi. In questo caso le farfalle non hanno il tempo di volare via o emigrare su altri petali più sicuri. Le sventurate, probabilmente, non sapranno mai quali siano stati gli agenti che hanno decretato la loro fine.


L’aumento della biodiversità disturba alcuni uomini. Non m’interessa che il tuo ortaggio sia esente da insetti, m’interessa che non abbia residui di sostanze chimiche, che sia genuino come nutrimento e soprattutto mi piace riconoscere il colore di una farfalla svolazzare su un campo in fiore.


Pur essendoci molte differenze, gli uomini hanno certamente in comune con le farfalle un apparato circolatorio e un sistema nervoso, un cuore e un cervello pulsanti di linfa e stimoli. In certo qual modo potremmo pure assomigliarci.


L’uomo e gli insetti sono anelli dello stesso ecosistema, è bene ripeterlo, è inutile far finta di non saperlo. Se l’anello si spezza, l’equilibrio va a farsi benedire e con la fine degli insetti rischia anche la nostra sopravvivenza.


Troppe specie di animali sono scomparse dall’avvento dell’agricoltura intensiva. Troppe volte si è abusato della natura. L’uomo non ha bisogno di questo. Sorprende che spesso è proprio quell’erudito che ha bisogno di questa riabilitazione. La fine di un indicatore biologico non è per niente auspicabile. Come spiegarlo?


È una rieducazione molto difficile, quando nelle decisioni non ci sono razionalità e coscienza. Abbiamo il diritto di sapere quante violenza si perpetua nei confronti degli insetti. Se le farfalle sono sempre più rare, è anche colpa dell’uomo.


Le differenza è evidente: c’è vita quando le farfalle vanno a caccia, non c’è vita quando è l’uomo a cacciarle.    



A caccia di Farfalle